mercoledì 27 maggio 2009
giovedì 21 maggio 2009
mercoledì 20 maggio 2009
reading is sexy- Paul Auster
Tom non aveva idea del perchè stesse resistendo così ad Harry. Non credeva neanche a un
decimo delle cose che gli diceva, ma ogni volta che il libraio rilanziava l'offerta puntava i piedi e cominciava a contrapporgli le sue ridicole motivazioni e giustificazioni. Tom sapeva che lavorare per Harry sarebbe stato un miglioramento, ma la prospettiva di diventare un aiuto-libraio non era delle più esaltanti e c'entrava poco con quello con quello che aveva in mente quando sognava di rimettere a galla la sua vita. In sostanza era un passo troppo breve, un contentino troppo futile dopo tutto quello che aveva perso. Così il corteggiamento continuò, e più cresceva il disprezzo di Tom per il proprio lavoro, più ostinatamente difendeva la propria apatia, e più diventava apatico, più disprezzava se stesso. In circostanze così cupe la sferzata di "averne fatti trenta" ebbe effetto su di lui, ma non al punto di spingerlo ad agire; e anche se il suo pranzo al banco del Metropolitan Diner si era concluso con la decisione di trovare un altro lavoro al massimo entro un mese, passato quel mese lavorava ancora per la compagnia di taxi 3-D.
Tom si era sempre chiesto cosa significassero quelle tre D, e adesso era convinto di saperlo. Diperazione, Disfacimento e Decesso. Disse a Harry che avrebbe valutato l'offerta e poi, come sempre, non fece nulla. Non fosse stato per il crack dipendente vaneggiante e ubiraco che gli puntò una pistola contro la gola all'angolo tra Fourth Street e Avenue B in una fredda notte di gennaio, chissà quanto sarebbe durato l'empasse...Ma finalmente Tom capì e la mattina dopo, quando entrò nel negozio di Harry e gli disse che aveva deciso di accettare il lavoro, la sua esperienza come tassista si concluse di colpo.
-Ho trent'anni,- dichiarò al suo nuovo principale. -E venti chili di troppo. Non faccio l'amore con una donna da più di un anno, e nelle ultime dodici notti...anzi dodici mattine, ho sognato ingorghi in dodici diverse zone della città. Potrei sbagliarmi, ma credo di essere pronto per cambiare.
P. Auster- Follie di Brooklyn
martedì 12 maggio 2009
say "cheeeeese"-
ho sempre pensato che le immagini fossero furbissime imitazioni della realtà nelle sue due uniche accezioni: negativa e positiva; nessun aut/aut, solo due soluzioni complementari.
Se i supporti fotografici fossero persone la pellicola potrebbe essere qualcuno che porta il negativo al positivo, che riesce a vedere al di là delle cose per come si presentano, che cerca soluzioni diverse con fatica e interesse, dentro la camera oscura guarda nell'ingranditore immaginando le correzioni necessarie.
le polaroid sono più incerte: si scatta ma poi bisogna prendersene cura, massaggiarle per distribuire l'emulsione, sperare di aver azzeccato la giusta combinazione di tempi e luce e altrimenti riprovare, come se le possibilità fossero infinite ma si dovessero sfogliare una per volta in una specie di percorso per poter arrivare al risultato, fallendo fino alla riuscita.
il digitale è risoluto, non dà molto spazio alle sorprese, diciamo che potrebbe essere un calcolatore nato: decide le impostazioni ed è già quasi sicuro che otterrà quel che vuole, ma quasi senza sfumature e margine d'errore.
un mese fa ho deciso di tirare fuori materiale di ogni tipo scattato o sviluppato anni fa che conservavo sotto il letto. ad un certo punto ha quasi cominciato a lamentarsi, tenendomi sveglia tutta la notte; allora ho dovuto liberarlo, spolverarlo e archiviarlo per bene, ogni fotogramma, ogni provino, come se volesse essere guardato per esistere davvero di nuovo, ed è buffo come le cose a distanza di tanto tempo sembrino così diverse, come tutte le facce e i posti risalgano alla memoria e si guadagnino il loro posto assumendo un senso o semplicemente raccontando una storia, perchè è forse questo che conta: capire dove e cosa siamo stati, per tornare ad esserlo ancora.
UPDATE "capire dove e cosa siamo stati, per tornare ad esserlo ancora..oppure non pensarci più"
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