mercoledì 29 dicembre 2010

2010- i'm not saying hello i'm waving goodbye





well. almost gone. welcome 2011

sabato 18 dicembre 2010

The year in photos- Music is my radar



Le foto ai concerti, enorme campo di battaglia pieno di morti e feriti, perchè se è facile fare una bella foto per caso è quasi impossibile scattarne due di seguito senza sapere perchè.
Qui la scelta di Pitchfork, sopra la mia preferita, una selezione che mi convince definitivamente a tenere l'iphone in tasca e tirarmi due passi indietro al prossimo concerto, e nel frattempo riempie un vuoto pieno di centinaia di inutili scatti da flickr, quelle immagini tutte rosa e blu e gente sfocata che armeggia selvaggiamente con gli strumenti. Ecco, non è sempre il blog del vicino di casa, c'è gente che lo sa fare davvero. Per fortuna.

giovedì 2 dicembre 2010

Make me dance i want to surrender- you're just a baby girl




Islington, March 19TH- 6 p.m.- 1999

Un pub qualsiasi,i tavoli collosi di birra e la tv appesa al muro sempre sintonizzata sul canale sportivo, i bagni sporchi e gli ubriachi gentili che ti lasciano il passo alla toilette.
Fra poche ore è il mio diciottesimo compleanno e continuo a chiedermi come sia possibile che mi credano quando mi presento al bancone, col broncio finto e la maglia a righe, ordino pinte grandi come la mia testa, metto un piede davanti all'altro ma la Newcastle confonde i contorni e inciampo nella moquette spessa quattro dita emettendo innumervoli "ooopsss": la maldestria non mi abbandonerà mai ma ancora non lo so, e spero passi presto.
Sono in vacanza di nascosto, voglio celebrare in un posto in cui abbia senso questo multiplo di nove senza balli in bianco, accompagnatori brufolosi o gonne a ruota, c'è da dire che mi sono impegnata così tanto da trovarmi davanti ad un piatto di pudding e baked beans talmente scarno da sembrare una presa in giro, carta da parati frattale e divani bruciati, in compenso la birra è abbondante, sgasata e pesantissima, ci sono il calcio in TV e le freccette libere, un paradiso precoce.
Sto ancora digerendo l'ultimo pezzo di toast mentre mi trascinano fuori, in un freddo marzolino davvero fastidioso, le case sono spaiate e grigie e decine di anziane signore vagano sui marciapiedi con le buste del Tesco, trascinandosi rumorose come barattoli dietro la macchina degli sposi.

Entriamo in casa di Sean scavalcando giocattoli, pianole, pacchi di bacon e mucchi di vinili. Guardo l'orologio e penso che fra tre ore potro' tirare fuori la mia ID e bere cose nell'ordine che preferisco, e l'hangover sarà finalmente solo colpa mia. Beh qui, perchè nel mio paese potevo già farlo e almeno potevo dare la colpa allo stato. Primo cedimento ideologico di una lunga serie.

Secondo pub, primi e ultimi diciotto anni della mia vita: quattro Newcastle, due porzioni di patatine con candelina, tre canzoni dei Jam ballate nel modo più scoordinato possibile e un taxi verso l'hotel con la carta da parati più sorprendente che io possa ricordare -prima in classifica solo casa mia, coi rombi blu e verdi, e dei cerchi concentrici in tinello che solo Kleee- la BBC romantica che fa da sottofondo, gli auguri internazionali dei fratelli preoccupati, le urla dal piano di sopra che ci svegliano con una lattina in mano e la bolla al naso, l'alba del ventun marzo brumosa e l'apoteosi del cerchio alla testa, last but not least due etti di bacon assorbente servito al tavolo del pub più sporco d'Albione. Really.

Volo di ritorno speso ad abbracciare sedile, anziano accompagnatore e tappetino assorbi-birra feticcio del suddetto zozzissimo pub, tentando di ricostruire versioni educatamente plausibili per la famiglia,il cervello cotto a puntino in un pentolone di brasato sentimental-rocknroll parzialmente inesploso, le endorfine catturate come farfalle nel retino.

Atterrata a Roma non ho sentito scosse, se non la mancanza di offerte di latte nel tea, royal gadgets, doppio malto senza rimorsi e tartan libero.
Doveva essere uno di quei terremoti a lungo termine.
DNA, doesn't fake.