venerdì 15 febbraio 2008
le città invisibili-peter bialobrzeski
"se le chiedessimo di spiegare a parole il suo lavoro sul paesaggio?"
P. B. "certo non sono nella posizione di spiegare cosa significhino le mie fotografie: le faccio proprio perchè non ho parole per descrivere quel che vedo. Diciamo che ho un'immagine mentale che diventa congruente con la fotografia, se la faccio bene.
" lei ha detto che le sue foto non sono nè arte nè un documentario, ma una pratica culturale? ci vuole raccontare meglio?"
"per me si tratta di un modo di dare senso al mondo che mi circonda. penso che la mia fotografia non sia qualcosa di molto diverso dalla scrittura: entrambe sono fortemente legate alla realtà. la fotografia molto spesso è ancora mal compresa, si pensa che sia un puro strumento per registrare informazioni visuali, ma è diventata molto più di questo. c'è un così forte senso della storia e ci sono cosi tante diverse opinioni sul tema nel dibattito internazionale da far pensare che oggi il suo orizzonte culturale non sia diverso da quello della letteratura o del cinema"
Marie Claire, mar 2008, intervista a Paul Bialobrzeski
grazie paul, non avrei saputo dirlo meglio.
trovo curioso che migliaia di persone guardino le tue immagini, non capiscano dove diavolo siano statte scattate e provino immediatamente- come diretta conseguenza del non riconoscimento- una sensazione di sollievo; a questo punto è probabile che sia proprio quel senso di leggerezza che ti prende quando non sai assolutamente. e tanto meno ti interessa, sapere dove tu sia, avere la certezza che le coordinate siano quelle giuste e la rotta pure, che intorno a te ci sia qualcosa di solido. forse è l'entusiasmo dell'incoscienza o dell'unica certezza che si possiede: cioè che un vuoto si può sempre riempire, prima o poi.
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