lunedì 31 marzo 2008
london calling #2-3-4
racconto cumulativo: la densità degli eventi e il cambio dell'ora mi confondono come pollicino senza sanpietrini; il venerdi parte sotto la pioggia, niente da obiettare, proverò l'asciugatrice aspettando che il meteo inglese faccia il suo corso, ed ho ragione: 50 minuti dopo infilo la felpa pulita ed esco sotto il sole in missione tea, inutile dire che mi perdo per la via, nel senso che le sollecitazioni sono davvero troppe e prima di knightsbridge ci sono sia green park che il victoria&albert, non vedrò mai il reparto twinings del secondo piano, come da copione. in compenso mi siedo su una panchina tra due simpatiche ageè di fianco che ciarlano di nipotini, leggo i giornali, mangio un sandwich e conto i piccioni, 17 gradi tutti. un'ora dopo corro verso old street per due ore e mezza di conversation practice al contrario:, le ripetizioni le do io e in italiano pare, fortuna che la birra aiuta il vocabolario e la moquette attutisce le fregnacce grammaticali: italia 1-inghilterra 0; in serata pasta casuale e tv spazzatura mi spediscono a letto alle 3 in preda ad uno spanamento fisico notevolissimo, non ho più l'età, è chiaro come il sole.
il sabato è il giorno della compare, nel senso che finalmente libera dal lavoro sottopagato de decide di sua sponte una gita a camden alla ricerca di pad thai e scarpe nuove, la victoria line è chiusa per lavori e le strade sono tappezzate di cartelli di scuse, penso all'atm e rido di gusto, poi mi ricordo che tra due giorni torno a milano e devo rinnovare l'abbonamento, e non rido più. il giro in bus è lungo e tortuoso ma ci da tempo di confrontarci sugli argomenti di punta di questo momento storico-sociale: il gossip campanilista, gli italiani a londra e la conversione delle taglie da h&m, nelle seguenti due ore si corre per due ore da un negozio all'altro, si mangia un ciotolone di pad thai fumante e piccantissimo, ci si bagna i calzini ridendo, torna il sole. in un ritardo mostruoso ci presentiamo alla fantomatica cena giapponese a soho dove decido di autopunirmi per il delirio consumista affrontando una scodellona gigante di beef ramen, mastico i peperoncini, smorzo con la asahi, non succede nulla di rilevante, che le mie papille si stiano già integrando? segue doppia pinta alla goccia perchè appena entrati al pub suona la campana, rutto libero e ingresos in un club a caso popolato di indiani e inglesi minorenni, dopo 10 minuti tutti limonano con tutti, si sprecano pacche sul culo e urla belluine, non sono neanche le 11..come mio solito interagisco molestamente col buttafuori, la conversazione è più o meno questa:
lui, in un inglese dal forte accento russo, e no, non assomiglia neanche a viggo, damn: "tu non esce con tua birra"
io: "lo so, la lascio qui, sul bancone, con le altre bevute , vedi? tutti le han lasciate li, appoggiare-fumare, right?"
lui: "tu non esce con tua birra"
io: "eccoci..-sospiro- zio la appoggio qui eh, esco, zago e torno, no?"
lui: "no"
si avvicina il barman sosia di legolas, mi prende la birra dalle mani e, rassicurante come gesù all'ultima cena sussurra "la prendo io, torna al bar quando hai finito che te la riconsegno intatta"
grazie legolas, ho sempre saputo che eri dalla parte giusta, ti ho sempre stimato in fondo.
l'ora legale ci scaraventa fuori dal locale alle 4 passate, giusto il tempo di svenire 5 ore e poi la drammatica corsa verso l'aeroporto in hangover è una realtà.
ma va tutto bene: mi getto sul gatwick express in partenza tra le porte che si chiudono, spendo gli ultimi pounds da boots acquistando oggetti random, mi faccio cazziare per lo sfacciatissimo bagaglio a mano e sulla via di casa realizzo che non ho ancora mangiato nulla investita da una rutilante gayna infernale, la migliore da tanto tempo: happy birthday to me, allora.
giovedì 27 marzo 2008
london calling #1
evviva il low cost: arrivo al check in e dopo aver ingoiato un disgustoso e inconsistente francesino al crudo realizzo in pochi secondi che sul mio aereo viaggia una squadra di polo maschile londinese, dio esiste ed è pure magnanimo, promemoria mentale.
a victoria station piove che dio la manda ma la mia compare è puntuale per una volta nella vita e ci abbracciamo nerovestite davanti al tabellone degli arrivi tra duecento adolescenti vestiti come i tokyo hotel che mangiano avidamente bagel, si va verso casa, giusto un paio di isolati, la moquette ci attende.
mi sveglio col sole, ma dove siamo? ah si, belgrave road, la compare vestendosi impreca contro il suo stage malpagato e facciamo un caffè leggendo lite che titola "oh no! amy and pete are teaming up" e per un attimo ho paura e tossisco biscotti, evviva i tabloid; esco da sola, o meglio con quello straccio di senso dell'orientamento che possiedo, agguanto un tramezzino da boot's e mi metto in cammino slacciando la giacca, il caldo improvviso sarà colpa del frappuccino a dodicimila gradi che mi brucia definitivamente le ultime papille gustative, ma chissenefrega, servono mica per il chicken bacon; dopo 35 minuti nella sala di rotcho a luci basse anche la pressione sanguigna comincia a cedere ma due ore e mezza dopo sono ancora lì a guardare le scolaresche che fanno i collages seduti per terra nella stanza di mirò e gli italiani che davanti alla crocifissione di bacon commentano "ma che è, nò struzzo?", i neon di flavin mi faranno compagnia per sempre: li ho fissati talmente tanto che devono essersi impressi nella cornea.
ah, la cultura..ah, l'arte. ma i saldi? ecco cosa dovevo fare, siamo seri.
attualmente giaccio semisvenuta sul divano tra i sacchetti, consapevole che non mangerò per mesi ma strafatta di endorfine, attendo il ritorno della compare per una spedizione punitiva da sainsbury che comprenda l'acquisto degli ingredienti necessary ad un curry monumentale, in frigo c'è anche l'hummus, mi commuovo.
UPDATE: birre in lattina a shoreditich e perdersi col notturno a canary wharf, non ha prezzo. le scarpe da 15 pounds che procurano vesciche bibliche, ecco quelle si.
a victoria station piove che dio la manda ma la mia compare è puntuale per una volta nella vita e ci abbracciamo nerovestite davanti al tabellone degli arrivi tra duecento adolescenti vestiti come i tokyo hotel che mangiano avidamente bagel, si va verso casa, giusto un paio di isolati, la moquette ci attende.
mi sveglio col sole, ma dove siamo? ah si, belgrave road, la compare vestendosi impreca contro il suo stage malpagato e facciamo un caffè leggendo lite che titola "oh no! amy and pete are teaming up" e per un attimo ho paura e tossisco biscotti, evviva i tabloid; esco da sola, o meglio con quello straccio di senso dell'orientamento che possiedo, agguanto un tramezzino da boot's e mi metto in cammino slacciando la giacca, il caldo improvviso sarà colpa del frappuccino a dodicimila gradi che mi brucia definitivamente le ultime papille gustative, ma chissenefrega, servono mica per il chicken bacon; dopo 35 minuti nella sala di rotcho a luci basse anche la pressione sanguigna comincia a cedere ma due ore e mezza dopo sono ancora lì a guardare le scolaresche che fanno i collages seduti per terra nella stanza di mirò e gli italiani che davanti alla crocifissione di bacon commentano "ma che è, nò struzzo?", i neon di flavin mi faranno compagnia per sempre: li ho fissati talmente tanto che devono essersi impressi nella cornea.
ah, la cultura..ah, l'arte. ma i saldi? ecco cosa dovevo fare, siamo seri.
attualmente giaccio semisvenuta sul divano tra i sacchetti, consapevole che non mangerò per mesi ma strafatta di endorfine, attendo il ritorno della compare per una spedizione punitiva da sainsbury che comprenda l'acquisto degli ingredienti necessary ad un curry monumentale, in frigo c'è anche l'hummus, mi commuovo.
UPDATE: birre in lattina a shoreditich e perdersi col notturno a canary wharf, non ha prezzo. le scarpe da 15 pounds che procurano vesciche bibliche, ecco quelle si.
martedì 25 marzo 2008
Then you see the Union Jack and it means nothing
questo blog va a Londra e no, non spera di trovarla così; se proprio l'apocalisse dovesse arrivare durante la mia permanenza, che risparmi top shop, la tate e qualche bel professorino del st. martin's, grazie.
update: e Jamie Oliver, per carità.
sabato 22 marzo 2008
giovedì 20 marzo 2008
happy birthday
proprio oggi il vesuvio eruttava, la tunisia diventava indipendente dalla francia, yoko-fucking-ono sposava il povero john, la chiesa luterana festeggia sant'alberto di brandeburgo-ansbach e compiono gli anni Ibsen, Publio Ovidio Nasone, Spike Lee e Holly Hunter...qualcosa di buono è successo oggi, dai...
mercoledì 19 marzo 2008
flickr award #1
bellissimo flickr quello di mayastar, molto bianco e nero molto serio e ben fatto, di quelle accortezze tecniche che noti poco prima e poco dopo un piacevolissimo impatto, che chiudono il cerchio della "bella foto" come il caffè dopopranzo; il colore però è meglio, una per pagina spuntano come funghi nel muschio, colori sfacciati nella pioggia o fra la nebbia, mayastar sembra fermarsi per strada a raccoglier sassolini che in tasca diventano pietre da tirare in faccia a chi guarda, tanto poi si scappa.
ya!!! hoooooo!!!
spesso bisogna scegliere: signore degli anelli vs guerre stellari, vino vs birra, tette vs culo, blur vs oasis, quadri vs strisce, perizoma vs slip, dolce vs salato, meno male che avevo scelto bene. adesso però assumetemi ok?
martedì 18 marzo 2008
maps- un'uscita qualsiasi
le mappe non dicono sempre dove devi andare, qualche illuminata volta ti spiegano dove sei stato, quando e con chi, lavando via la memoria negativa: i ricordi vettoriali sembrano sempre bellissimi.
#1 invisible journeys, oli laurelle
viaggi fisici, a piedi, mezzi pubblici, mappatura reti wi-fi
oli laurelle's flickr- "Some journeys, some wifi networks and processing."
i piccioni e le loro lunghe tratte, sistemi di orientamento geografici ancora sconosciuti, ignorano i percorsi ovvi
#3 japanese blogosphere, makoto ushida
#4 naming names, jonathan corum- farhana hossain
quante volte i candidati presidenziali hanno pronunciato i nomi dei propri rivali in campagna elettorale
domenica 16 marzo 2008
teatime at dawn
keywords: cousins, stevie's smile, glastonbury, crowd, funny hats, parka in june, thin chest, gay icon, violins, breeeeeeath-ish
venerdì 14 marzo 2008
giovedì 13 marzo 2008
mercoledì 12 marzo 2008
the ninth floor- it's my wife, and it's my life..ah-ah
il Nono piano dorme in piena Manhattan: il padrone di casa, Joe, dopo qualche anno passato tra le mura della Factory un pò a far tappezzeria un pò a dipingere, è caduto in disgrazia dentro questo appartamento, per lo meno inciampando nel quartiere giusto.; da quel momento comincia a scambiare l'affitto con un favore di natura estremamente pratica ma del tutto innocua: stanza gratis per chi si offre di dare la medicina a Joe ogni volta che gli serve, chè lui non è capace.
The Ninth floor nasce quando Jessica Dimmock, giovane reporter appena diplomata, capita da quelle parti e non si sa come riesce ad entrare nelle grazie di Joe tanto da poter restare, andare e venire per otto mesi, fotografando tutto e tutti senza chiedere il permesso e anzi ottenendo protezione; il numero degli inquilini varia a seconda delle fughe, della galera, dei gatti vivi o morti dietro al divano per 3 settimane, dalle gravidanze casuali, Jessica gira per la casa e i giorni passano, gli ospiti vengono ripresi come se lei non ci fosse, le giornate senza abitudini a parte una, non si capisce mai che ora è con le finestre chiuse e lampadari come lumini, il tempo sembra non passare mai, quasi niente cambia o è difficile notarlo visto che le facce si consumano lentamente come le pareti, come cibo che marcisce dentro un frigo vuoto.
otto mesi in quella casa devono aver lasciato le tasche di Jessica molto pesanti, e non perchè "Come Dante dalle bolge infernali ne esce purificata la fotografa?, come candidamente ci suggerisce il blog di panorama, ma perchè la neutralità le ha permesso di appoggiarsi ad un palazzo costruito su fondamenta pulsanti, sui bisogni primari di chi ha eliminato l'istinto di sopravvivenza come un fazzoletto sporco, da ospite non pagante ha guardato con la porta aperta e senza serrature la vita di qualcun altro implodere su sè stessa come una bianca nana ma senza far rumore; tornando a casa deve aver guardato bene quelle immagini divise in due, alcune socchiuse e fatte solo di polvere, altre chiare come calci, in piena luce, senza pupille. , e aver pensato che in fondo se l'obiettivo non sceglie mai, perchè dovremmo farlo noi?
domenica 9 marzo 2008
Eels- I...Am going to a place where I’m always high
un lunga attesa quella per Mr E venerdi sera al conservatorio Verdi dove arrivo correndo sfiatata, cerco e trovo il mio posto illuminando i numeri delle sedie con la lucina del cellulare, arrancando mi siedo fra due coppiette che limoneranno tutto il tempo, bontà loro, lasciandomi come volevo a vedere un concerto da sola, in seconda fila e dotata di giocattolo tecnologico nuovo di zecca col quale prendere confidenza, e si vede.
il palco è coperto da un telo bianco per proiezioni sul quale scorrono immagini e musica, familiari, ci metto qualche secondo a capire che si tratta del documentario biografico dedicato al padre di Mr E, fisico quantistico responsabile della elaborazione di teorie sui mondi paralleli e quindi di aver scatenato quel polverone di fiction e letteratura futuribile e poppissima alla quale tutti abbiamo attinto a ampiamente causa agitazione da pubertà e anche oltre; purtroppo non tutti se lo ricordano e non tutti reggono 45 minuti in inglese senza sottotitoli, così mezza sala comincia a fischiare e non smetterà fino alla fine. mi riesce difficile immaginare come si possa essere così poco curiosi in generale..e così poco attenti da fischiare dopo aver speso 30 euro per uno spettacolo che prevedeva in scaletta sia filmati che letture in lingua oltre al concerto, c'era scritto, ma si sa a milano si va di fretta; forse la comprensione del contenuto avrebbe aiutato a capire qualcosa in più su Eels, senza per forza sviluppare interpretazioni nostalgico-depressive, l'obiettivo era proprio il contrario, temo.
finalmente il sipario si alza e una voce fuori campo annuncia l'entrata di Mark Oliver Everett & The Chet, fido amico di polistrumentismo vestito come un meccanico del gran premio, la scaletta si rivela subito gustosa, finalmente le microcanzoni zittiscono la platea che viene risucchiata da un'ora e mezza bellissima, suonata fino a farci piangere come vitelli e ridere come scimmie, ad ogni cambio le slackerate schizzano giù dal palco per venire a stringerci la mano, spiegandoci come sia possibile che qualcosa di morto possa essere vivo nello stesso momento, giusto dietro la porta, proprio li vicino a noi, come niente finisca senza trasformarsi in qualcos'altro, e coesistere.
la barba e gli occhiali tornano sul palco un paio di volte per dei sospiratissimi bis: "tonight my father opened up for me", dice a un certo punto, le luci si accendono ed ho la netta percezione di aver guadagnato qualcosa, se sia morto o vivo non fa differenza visto che esistono entrambi, se lo dice lui..
venerdì 7 marzo 2008
giovedì 6 marzo 2008
"pensai che forse, in un luogo lontano, tutte le cose sono già segretamente perdute. se non altro, esiste un posto tranquillo dove le loro immagini possono sovrapporsi fino a fondersi in una sola. vivendo, non facciamo che scoprire una dopo l'altra queste corrispondenze, trascinando verso di noi i loro fili sottili. chiusi gli occhi, e cercai di evocare tutte le cose belle che immaginavo li. cercai di trattenerle nelle mie mani, . anche se la loro vita non durava che un attimo."
ph. Gregory Crewdson "untitled, 2001-2002"
mercoledì 5 marzo 2008
some water & just a t-shirt
happy Bday John
William Burroughs always talks about the world is nothing but allies and enemies. And it's important to understand what things around you are the enemies and a lot of the time your worst enemy is your ego. (Funky Monks, 1991)
#1 Murderers- John Frusciante- Marc Bracamonte
#2 Murderers- John Frusciante - 8HorasAlpedo
#3 Stuff- short documentary on John Frusciante's everyday life by Johnny Depp, Gibby Haynes
William Burroughs always talks about the world is nothing but allies and enemies. And it's important to understand what things around you are the enemies and a lot of the time your worst enemy is your ego. (Funky Monks, 1991)
#1 Murderers- John Frusciante- Marc Bracamonte
#2 Murderers- John Frusciante - 8HorasAlpedo
#3 Stuff- short documentary on John Frusciante's everyday life by Johnny Depp, Gibby Haynes
martedì 4 marzo 2008
fanny & alexander-Et Dukkehjem
« Tutto può accadere, tutto è possibile e verosimile. Il tempo e lo spazio non esistono, l'immaginazione fila e tesse nuovi disegni »
lunedì 3 marzo 2008
My smile is a rifle, wont you give it a try?
"molto tempo fa, dopo la prima del Mucchio Selvaggio di Sam Peckinpah, durante la conferenza stampa un giornalista alzò la mano per fare una domanda. - che bisogno c'era di far vedere tanto sangue?- chiese con tono indignato. Ernest Borbnine, che recitava nel film, con un'espressione perplessa sul viso rispose: -mi perdoni, signora, ma quando uno è colpito da una pistola, sanguina-.
questa risposta mi piace. si potrebbe dire che è il fondamento della realtà. le cose difficili da comprendere, accettarle come tali, e sanguinare. pistolettate e sangue che scorre."
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