lunedì 28 aprile 2008
Francis Bacon, Palazzo reale- "i'm deeply optimistic about nothing"
il primo ponte di primavera ha svuotato la città, non c'è momento migliore per mettersi a vagare tra i posti che vengono pigramente ignorati nei giorni feriali. . sarebbe un bell'incipit sereno ma non è andata così: è domenica, ci si sveglia alle tre con l'umore peggiore da mesi e si esce di casa sbuffando molto forte, direzione "un posto dove non si è costretti a parlare con nessuno e a star fermi fissando un muro non ci prendono per matti, affronto Bacon, in poche parole, aspettavo da due mesi .
la fila è composta e sparuta, i pochi milanesi in città si mischiano a giovani turisti rimasti probabilmente impigliati nel fuorisalone, tutti leggono la sintetica biografia appesa sui pannelli all'entrata, mi fermo anche io che l'ho sempre saltata come la prefazione dei libri perchè mi spazientiva, non scopro niente di nuovo ma è come lo stretching prima della gara, serve.
la prima parte della mostra parla di un Bacon giovane e appena tornato dalla berlino libertina, fa ancora il designer di interni e i suoi arazzi pelosi hanno molto successo, in realtà sono anche belli con le loro piccole volute geometriche ai colori primari, però non riesco bene ad inquadrarli nell'ottica del dopo, questi piacevolissimi minizerbini minimal li metterei in salotto senza impegno, uno "studio per testa" no, ecco. continuo a camminare per la sala circospetta, so che dietroil muro c'è qualcosa che mi aspetto ma anche no, giro l'angolo prudente e arrivo al sodo, davvero: ci sono tutti o quasi (la deposizione è rimasta alla Tate, bontà loro), c'è tutto quello che aspettavo di vedere e tutto insieme, c'è anche quello che non sapevo, le tele sono grandi ma non enormi e il vetro imposto da bacon ne scherma una gran parte; dice che per lui la distanza è importante, come dargli torto. specialmente in questo caso conservare quattro passi per proteggersi dai colori è necessario: gli arancioni ti corrono addosso come gente frettolosa nel metrò che ti urta senza scusarsi, il nero ti prende per un braccio e ti trascina dentro le bocche dei papi, i blu e i vuola ti colano addosso come una doccia di pece, il giallo è poco ma si fa sentire, fugge dalla gabbia aperta come un canarino ansioso per spiaccicarsi contro la finestra chiusa. c'è tantissimo da mandare giù, è un bolo indigesto quello di Sir Francis, ma non riesco a sedermi, posso solo chiudere gli occhi fra una tela e l'altra, distratta dalla bambina che gioca col blackberry della madre, volume ON.
un giornalista porta a pranzo un Bacon alticcio poco prima della data della morte (oggi, tra l'altro), si sa che davanti ad una bottiglia di vino il nostro si annoia meno, ne viene fuori un documentario di circa quaranta minuti proiettato a metà mostra, un pò biografico un pò raccontato, molto accattivante ma anche molto vero , lui parla p e parla, si alza e riempie i bicchieri, ride e fa battute, si avvicina con la sedia e sputacchia un pò: quello che ci arriva è il racconto semiserio di una vita e di un talento completamente sdoppiati, se da un lato c'è la percezione di Bacon come di un sofferente visionario ossessionato, dall'altro le sue parole e la sua faccia ci dicono che il disincanto può essere vissuto con una specie di sorriso, che la realtà è fondamentale, ogni giorno, chi vive di astrazione non può vomitare arte, che la bella forma non serve a nulla perchè è muta.. sembra un uomo irriverente ma lo è nel senso più positivo del termine, alle tipiche domande che si fanno alle superstar dell'arte risponde senza false modestie, quando dice di non aver mai sperato di vendere così tanto gli si crede perchè è la stessa cosa che pensa del suo talento, a suo dire nessun quadro è mai riuscito bene, nulla somiglia mai abbastanza, i papi-tributo a velasquez sono poco precisi e le bocche, la sua eterna ossessione, sono incomplete, imperfette, è il tono di qualcuno chelavora duro da una vita alla sua ossessione e che nel frattempo non ne è soddisfatto mentre tutto il mondo lo applaude in standig ovation, non è il delirio di un pazzo ma l'incompletezza dell'assorbito.
"i am deeply optimistic about nothing, risponde al giornalista che gli chiede della sua natura, spiega che è positivo nel pensare alla giornata da vivere, una per una, una cosa per volta, che però in generale sia ottimista su nulla, senza progetti, senza fede, senza nulla a cui appoggiarsi non si cade per forza nello sconforto, si può pensare il tempo della vita in tante piccole tranches, più affrontabili che l'immenso intero; va avanti così, la vita non ha nulla di speciale in sè, la cosa più forte è circondarsi di umani, di facce che si muovono e di bocche che parlano, assorbire ed essere assorbiti, girando notte e giorno di casa in casa e di bar in bar, accanendosi contro l'imperfezione della tela e non con quella esistenziale, che è imbattibile. in effetti dopo tutto questo, che altro c'è?
ph. John Deakin
Great Britain
1952
Gelatin-silver print
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2 commenti:
bello, bello, bello.
Io sorveglio tutto anche se mi faccio sentire poco eh...
merci, al solito.
per un attimo ho pensato fossi emigrata :)
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