giovedì 22 maggio 2008

riget&madunine



non ero mai entrata in un ospedale meneghino, tranne l'innocuo e moderno san paolo ma per pochi minuti e non per fatti miei, come dire se non mi riguarda il mio spirito d'osservazione si affievolisce per concentrarmi meglio sullo stato di chi sto andando a trovare; ne ho frequentati parecchi romani, per molti anni in un adirvieni che nella mia mente in evoluzione (si, una volta si evolveva..poi la pubertà e la moretti hanno fatto il resto) si è trasformato un mega slide-show di stanze bianche, fari da sala operatoria, camici verdi che volevano dire tanto sonno in poco tempo e camici bianchi che volevano dire mini tortura in arrivo sul lettino numero due; diciamo che il tutto si è amalgamato in un blob di ricordi e immagini sovrapposte che assomiglia molto alla grottesca epopea ospedaliera di von trier, senza fantasmi ma col purè più buono che abbia mai assaggiato: i medici sono ancora entità dotate di una predisposizione al maligno mentre gli anestesisti li ricordo con amore, quasi tutti sanno raccontare barzellette meravigliose, in anestesia locale ovviamente.
questa mattina sotto una pioggia incessante sono approdata al niguarda, attraversando prima le piazze e le vie circostanti che hanno tutte un nome tipo "piazzale dei benefattori dell'ospedale", "vicolo bue e asinello" o "strada della madonna", giuro. è come se quell'enorme edificio fascista che vedo luccicare da lontano fosse lì per ordine divino, mi vedo già centinaia di forzuti volontari che lo erigono mattone su mattone con la sola forza virile che dio gli ha concesso in quanto uomini e in quanto -diciamocelo- schiavi. ma è una fantasia che ho spesso davanti all'architettura del ventennio, solo che qui è completamente inzuppata di retorica religiosa, e questo rende tutto più gustoso, se avete passato vent'anni della vostra vita a pochi chilometri da loreto.
giusto sotto il portone d'entrata campeggia un bassorilievo che rappresenta due squinzie neoclassiche a caso che si inginocchiano sotto la scritta "ave maria" o qualcosa del genere, le v al posto delle u non le ho mai capite daltronde, l'enorme parallelepipedo si staglia nell'improbabile enorme e vuoto piazzale, piove moltissimo e il marmo bianco luccica ad ogni lampo, davanti al portone si accalcano persone di ogni tipo, quasi tutti senza ombrello, quasi tutti stranieri.
faccio quasi fatica ad entrare, c'è la calca neanche distribuissero manna take-away, ma appena dentro sento il solito odore: quel misto di linoleum, pollo lesso e persone in transito, indescrivibile ma sempre uguale, c'è chi lo odia profondamente, mentre a me provoca solo un gigantesco effetto madeleine, roba che potrei mangiarci per un mese se si materializzasse davanti a me.
certo i muri nel 2008 non sono più rivestiti da quella fastidiosa texture plasticosa disegnata da un ubriaco, quella a venature bianche su fondo azzurro o verde, quella che a guardarla dalla barella in movimento vomitavi anche l'anima; anche le infermiere sono cambiate, meno arcigne over 60 e più giovani e gentili straniere random, tutte sorridenti, che aiutano le sciure ipovedenti a decifrare le calligrafie maniacali dei propri medici della mutua.
in realtà non devo fare quasi nulla, il mio esame dura talmente poco che alla fine mi chiedo se è davvero successo qualcosa, mi staccano le ventose dal torace e mi rivesto velocemente, spingo la ricevuta nella borsa e mi chiedo quando avrò tempo di ritirare il referto, no perchè fuori da questo posto ho una vita come gli altri, e i tempi interni invece qui sembrano appartenere ad un altro pianeta: accettazione aperta dalle 14 alle 15, esami alle 13 e 50, pasti alle 18, a volte 17e30..imbocco il corridoio lentamente, voglio guardarmi indietro ancora un pò ma non trovo traccia di tutto quello occupa il folder "ospedali" nella mia memoria, niente immagini sature e pastose dal sapore pesante, niente lenzuola croccanti e diagnosi mormorate, nessuna catalogazione delle emozioni e dei dolori, nessun sollievo, niente; è passato troppo tempo e quel mondo fatto di immagini di carta (che ora so di poter chiamare foto) divise per colore, confuse per intensità e perse in fondo a qualche comodino da stanza tripla si sta sgretolando, rimane forso solo una confusa iconografia medica fatta di teli verdi , attrezzi luccicanti e facce che scompaiono mentre conti fino a dieci. forse dopo tanto passato in una sola dimensione le esperienze si mischiano tutte come in un grande wok diventando fantasie innocue, si amalgamano nel piatto del tempo e piano piano si raffreddano fino a diventare immangiabili. forse rimane solo un grottesco spaesamento, come quando si sta sognando e la sveglia suona all'improvviso, ed è di nuovo mattina.

Nessun commento: