venerdì 23 gennaio 2009

Ora-Ito: willy wonka e la fabbrica delle idee




Pasqualito viene da marsiglia, ha la faccia sveglia, uno di quei nomi grotteschi da figlio di emigranti italiani e la testa piena di disegni che nessuno vuol comprare, e a 19 anni si sa, il rifiuto non è un optional compreso nel prezzo.
Passa le notti a rompere matite davanti al mac e le giornate davanti alle vetrine pensando che tutti quei ricchi brand avessero un disperato bisogno di lui, che se non lo avevano ancora preso per il collo e trascinato in uno dei loro uffici bianchi e lucidi per staccare un assegno con tanti zeri da infilargli in tasca beh, era solo questione di tempo, qualcosa si sarebbe inventato.
per una volta, grazie ad uno sfacciato talento e una mossetta di marketing da segnarsi al volo, per una volta il wannabe aveva ragione da vendere, e senza sconti; trasforma il suo nome di battesimo in uno pseudonimo simile ma d'effetto, fa le scorte di baked beans per due settimane e si mette a disegnare freneticamente, poi impacchetta tutto in un bel sito e via.
dopo qualche giorno giapponesi e shopaholic cominciano ad entrare nelle boutiques a richiedere oggetti che i commessi non hanno mai visto, li vogliono subito, anche senza sapere il prezzo, perchè sono bellissimi e nuovi di zecca, peccato non siano mai stati prodotti sul serio dato che il buon marsigliese se li è inventati di sana pianta, ha messo giù una lista dei brand più famosi e inarrivabili ed ha disegnato e assemblato virtualmente per ognuno il proprio stupendo, innovativo e stilosissimo nuovo progetto commerciale, a volte decisamente migliore della linea originale.
la louis vuitton non ce l'ha fatta, l'ha denunciato subito, troppo gap fra le loro borse da nonna in pelliccia e il futuribile zainetto che qualsiasi adolescente californiana avrebbe desiderato follemente; tutti gli altri (heineken, evian, macintosh, swatch, adidas) l'hanno assunto subito come avrebbe voluto lui, senza prenderlo per un orecchio ma pronti a staccare l'assegnone della rivincita in cambio di un nuovo progetto sfrontato che lucidasse un pò i vecchi ingranaggi d'immagine.
personalmente ho tenuto per anni una sua bottiglia di heineken in alluminio su una mensola, l'avevo presa ad una festa troppo pettinata dove lavoravo, tra un rullino e l'altro vedevo passare gli ospiti con questa cosa in mano ed avevo pensato fosse geniale, non si sarebbe mai rotta in mille pezzi e prima di abbandonarla sul ciglio della strada ci si sarebbe pensato due volte, ne stringevano una sorridenti anche cicciolina e costantino della gherardesca, abbracciati in abiti laminati per la foto trionfale all'entrata, ho scattato, ho infilato la bottiglia in borsa e me ne sono andata verso il tram. alla fine ora-ito ha fregato pure me.

giovedì 22 gennaio 2009

cox 18


al Conchetta sono stata per la prima volta una decina di anni fa, non vivevo neanche a Milano ma il concerto dei truman's water aveva fatto partire una mini carovana anconetana; per la prima volta nella metropoli a nord e spaventati dal nebbione ci siamo persi, complici un paio aperitivi tipici che come totò e peppino avevamo dovuto provare nel primo pub per turisti in ticinese, il cox lo conoscevamo solo di fama, come quando tra parenti a natale si parla dello zio d'america, nel capannone occupato malamente al paesello si sperava di vederlo, prima o poi, questo posto leggendario.
tornando a casa soddisfatti con le magliette sudate in mano pensavamo che quella stanza scura e piena di gente improbabile, che nel nostro capannone non sarebbe mai entrata, coi drink più pesanti del pianeta e il giardinetto fuori, fosse una cosa meravigliosa, non sapevo aInserisci linkncora quante volte ci sarei tornata, o che sarei andata ad abitare con delle persone che ci sono cresciute dentro, fino alla settimana scorsa.
adesso che a Milano ci vivo da 7 anni, che nel giardinetto scivoloso ho passato notti intere, che di drink pesanti me ne sono fatta passare a decine tra un concerto e l'altro, che al cox mi sono affezionata da morire come moltissimi "ospiti" perchè, ed è un concetto molto semplice, è un posto accogliente e partecipato e qui è cosa davvero rara, ecco proprio adesso che pensavo non fosse possibile una mossa del genere mi arriva un sms, e una foto, e un link....e mi cadono le braccia.

ph. di kekkoz, grazie

update: bello come anche la stampa abbia completamente evitato di parlarne, a parte il giornale è ovvio, dove si invitava a sparare ad altezza d'uomo ai manifestanti, ma che non si può trasformare uno stronzo in oro lo sappiamo tutti. molto meglio il passaparola, incessante dalle prime ore del mattino. e a chi si spaventa perchè oltre al cox, al pergola (dove faranno una boutique di cavalli...) chiudono anche locali come il rolling stone direi che si, va bene, è una guerra per tutti, ma io vedo ancora una discreta differenza tra una discoteca privata con l'entrata a 20 euro e un centro sociale in piedi da vent'anni pieno di gente tutte le sere. tutto qua.

venerdì 16 gennaio 2009

Mario Giacomelli- meglio un morto in casa che un marchigiano alla porta


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Senigallia è un posto strano, piano e pieno di turisti, con la sabbia dappertutto e un accento da piadina trascinato che fa tanto riviera; ci siamo sempre venuti come in vacanza, per il localone all'aperto o la festa sulla spiaggia, vagando sul cemento del lungomare anni '50 in mezzo ai tedeschi coi birkenstock, correndo sulla statale piena di fabbriche fatiscenti. Magari anche Giacomelli andava in moto su questa strada, con la macchina fotografica al collo girava tutta la notte intorno alle colline, scattando e respirando l'aria che viene su dal mare poco più in la.
Quasi dieci anni fa ho visto le sue prime stampe appese ad Ancona, allestite nel Lazzaretto dismesso, tra un mattone e l'altro bruciavano bianche nella penombra, i suoi pretini nella neve, i vecchi a Lourdes, le facce pazze guardate da vicino, con una confidenza spinta al massimo dalla sovraesposizione, come se per avvicinarsi così tanto ci fosse un prezzo da pagare: vedere solo il soggetto, col vuoto intorno.
Allo Spazio Forma, un sacco di tempo dopo, tutte le sue immagini trovano di nuovo posto: andatele a vedere queste stampe originali, ma non avvicinatevi troppo, quello che state guardando potrebbe spaventarsi e sparire nel bianco.

martedì 13 gennaio 2009

in a hidden place, we'll stay in a hidden place




è un giorno ideale per la IMMERSION SCARF, e i pescibanana.

lunedì 12 gennaio 2009

wallpapers




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la carta da parati, a casa mia, è sempre andata in coppia con la moquette; non sono cresciuta a bath ma nella mente dei miei genitori evidentemente ricoprire pavimenti e pareti di morbide texture dal sapore demoniaco-enigmistico significava raggiungere il top della sciccheria, una dimostrazione di innegabile benessere: bei tempi quando ancora la moquette definiva uno status sociale.
Sarà anche colpa loro, ma a partire dal 1983 i muri nudi e i pavimenti scoperti mi fanno tristezza, uno psicanalista tirocinante potrebbe portarmi in un negozio di paramenti, allontanarsi di qualche passo taccuino munito, e cominciare a prendere appunti tranquillo mentre il mio senso estetico -davanti ad un bel rotolo di carta da parati- oscilla, barcolla e infine si arrende al cattivo gusto, l'unica vera dote dei rivestimenti per pareti. almeno cosi pensavo fino a stamattina. Poi è arrivata Tracy Kendall, e con lei la mia redenzione, forse.

clap your hands, say cardigan









"Take cardigans. A few years ago, the only straight man under 80 who wore a cardigan was a PhD student somewhere in East Anglia embarking on his 17th year of looking at how the curlicues in medieval illuminated manuscripts reflected the rise of the proletariat. Now look at cardigans: from the Prada catwalk to Beckham to Gavin and Stacey to you and, to paraphrase the much missed Milli Vanilli, boy, you know it's true - ooh ooh ooh."