mercoledì 16 dicembre 2009
First chapter: about love, nature & evil things we like
Al cinema arrivo spesso in ritardo, talmente tanto che a volte lo traslo a casa. Si lo so, non si fa, i film si vedono nel buio della sala e bla bla bla, ma non ho mai avuto il culto dell'alta definizione per esempio.
Ho guardato il "film più brutto del 2009" per diversi motivi, il più valido è che davvero tutti si sono accaniti contro Mr Von Trier manco fossimo alla prima stipula del Dogma negli anni '90, in modalità -oddio la gente nuda che scopa e soffre che ansia che ansia-
Ecco appunto, l'ansia, fosse il solo punctum del film non ne staremmo parlando, saremmo dal nostro psicologo di fiducia a regalargli la prossima vacanza alle Maldive.
Perchè l'ansia fa male, e fin qui siamo tutti daccordo, però è universalmente accettata quando finisce bene, quando si risolve oppure è il prologo di uno stupendo cammino di illuminazione, rieducazione e liberazione dal male; le immagini ansiogene ci mettono a disagio, quindi o sono la realtà, quella delle fotografie di guerra e sofferenza, davanti alle quali ci possiamo sentire offesi, attratti o disgustati ma che non possiamo rifiutare, per amor di cronaca o per voyeurismo, perchè la realtà sarà sempre li e non sta bene rimuoverla, e poi è Natale e facciamo tutti un bel versamento ad Emergency per sentirci lì vicino ma anche molto lontano, nella impenetrabile galassia del nostro conto in banca online.
Oppure c'è la fiction dell'ansia, ecco questa è decisamente meno accetta: perchè, dico io, se tutti i santi giorni dell'anno vengo sepolto da una quantità galattica di input negativi e agitanti, quando sono nel mio suv in coda sulla tangenziale o in ufficio col capo che mi trata comel'ultimo degli stronzi, perchè dovrei spendere sette euro o due ore del mio tempo per sorbirmi la tiritera psicopatica di qualche scemo che decide di mimare i propri inferni su uno schermo?
Perchè è realtà anche quella, per esempio.
Perchè sono inferni reali, forse più delle immagini che ci spaventano nelle rassegne stampa delle sette e trenta o al tg5 servito con l'insalata di tofu in pausa pranzo, perchè sono personali e nel fondo del nostro cuoricione sappiamo che prima o poi toccherà anche a noi, oppure è già capitato.
Per carità, ognuno procede come vuole nell'impraticabile strada dell'elaborazione dei suoi mostri, questo è uno: sbatterseli in faccia, andarci contro a cento all'ora fino a schiacciarli come cofani in una discarica, "la paura non fa male davvero, ma per saperlo bisogna guardarla" dice Von Trier, e secondo me ha proprio ragione.
Mi piace da pazzi questa infantilissima, barocca descrizione immaginifica dei suoi cavilli esistenziali, è inutile mentire quando si tratta di irrazionalità, ogni omissione a favore del gusto ci priva della sincerità necessaria a capire quanto davvero facciamo schifo. E non c'è niente di male a fare schifo, lo facciamo tutti, in modi diversi.
Il suo è uno schifo composto di terrore del femminino, di insicurezza che diventa follia incontrollata, ospitato in una natura da giardino del'eden cupo, triste e grondante colpa dopo la faccenda del serpente, peccato originale da chiesa del primo novecento in cui la nostra cultura sguazza da secoli e pare nonstancarsi; il vantaggio di Von Trier è quello di vederlo e viverlo al cubo: al cubo della colpa e della punizione, della redenzione che stavolta non c'è ma che per anni ha permeato le storie delle sue madonne-puttane ingestibili.
Preferisco mille volte un pazzo che teme e insieme venera la femminilità tanto da doverla annientare per sentirsi al sicuro che la subdola ammirazione maschilista dell'involucro di carne, soprattutto se viene raccontata con queste immagini da favola Grimm, scure e colorate, potenti e lente, le favole che bene non sono finite mai, finchè qualcuno non ha deciso di epurare le macchie di sangue delle principesse per non far paura ai bambini.
Qui le principesse sono demoni che scopano e irretiscono, rendono folli vestite del loro incomprensibile corredo di trine spaiate, firmano patti con madre natura che tutto può a discapito del ridicolo essere logico maschile, e alla fine vengono punite, e poi si vendicano.
Un immaginario crudele si, ma nei confronti di chi l'ha pensato, così bello e vivido, reale perchè no, andatelo a chiedere ai Grimm un lieto fine, e sentite che cosa vi rispondono: le favole non finiscono mai, bene.
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