giovedì 2 dicembre 2010

Make me dance i want to surrender- you're just a baby girl




Islington, March 19TH- 6 p.m.- 1999

Un pub qualsiasi,i tavoli collosi di birra e la tv appesa al muro sempre sintonizzata sul canale sportivo, i bagni sporchi e gli ubriachi gentili che ti lasciano il passo alla toilette.
Fra poche ore è il mio diciottesimo compleanno e continuo a chiedermi come sia possibile che mi credano quando mi presento al bancone, col broncio finto e la maglia a righe, ordino pinte grandi come la mia testa, metto un piede davanti all'altro ma la Newcastle confonde i contorni e inciampo nella moquette spessa quattro dita emettendo innumervoli "ooopsss": la maldestria non mi abbandonerà mai ma ancora non lo so, e spero passi presto.
Sono in vacanza di nascosto, voglio celebrare in un posto in cui abbia senso questo multiplo di nove senza balli in bianco, accompagnatori brufolosi o gonne a ruota, c'è da dire che mi sono impegnata così tanto da trovarmi davanti ad un piatto di pudding e baked beans talmente scarno da sembrare una presa in giro, carta da parati frattale e divani bruciati, in compenso la birra è abbondante, sgasata e pesantissima, ci sono il calcio in TV e le freccette libere, un paradiso precoce.
Sto ancora digerendo l'ultimo pezzo di toast mentre mi trascinano fuori, in un freddo marzolino davvero fastidioso, le case sono spaiate e grigie e decine di anziane signore vagano sui marciapiedi con le buste del Tesco, trascinandosi rumorose come barattoli dietro la macchina degli sposi.

Entriamo in casa di Sean scavalcando giocattoli, pianole, pacchi di bacon e mucchi di vinili. Guardo l'orologio e penso che fra tre ore potro' tirare fuori la mia ID e bere cose nell'ordine che preferisco, e l'hangover sarà finalmente solo colpa mia. Beh qui, perchè nel mio paese potevo già farlo e almeno potevo dare la colpa allo stato. Primo cedimento ideologico di una lunga serie.

Secondo pub, primi e ultimi diciotto anni della mia vita: quattro Newcastle, due porzioni di patatine con candelina, tre canzoni dei Jam ballate nel modo più scoordinato possibile e un taxi verso l'hotel con la carta da parati più sorprendente che io possa ricordare -prima in classifica solo casa mia, coi rombi blu e verdi, e dei cerchi concentrici in tinello che solo Kleee- la BBC romantica che fa da sottofondo, gli auguri internazionali dei fratelli preoccupati, le urla dal piano di sopra che ci svegliano con una lattina in mano e la bolla al naso, l'alba del ventun marzo brumosa e l'apoteosi del cerchio alla testa, last but not least due etti di bacon assorbente servito al tavolo del pub più sporco d'Albione. Really.

Volo di ritorno speso ad abbracciare sedile, anziano accompagnatore e tappetino assorbi-birra feticcio del suddetto zozzissimo pub, tentando di ricostruire versioni educatamente plausibili per la famiglia,il cervello cotto a puntino in un pentolone di brasato sentimental-rocknroll parzialmente inesploso, le endorfine catturate come farfalle nel retino.

Atterrata a Roma non ho sentito scosse, se non la mancanza di offerte di latte nel tea, royal gadgets, doppio malto senza rimorsi e tartan libero.
Doveva essere uno di quei terremoti a lungo termine.
DNA, doesn't fake.

lunedì 8 novembre 2010

martedì 28 settembre 2010

MFW- Beautyness and awkwardness





Cose da fare nella città in cui vivi per più di sei mesi ce ne sono tante, ma poche sono davvero archiviabili nel file "imperdibili", per reale valore o semplice fascinazione del grottesco, non importa; negli anni ne ho saltate di fondamentali in tre posti diversi: le due sorelle ad Ancona, la Torre degli Asinelli a Bologna, il tetto del Duomo e la settimana della moda a Milano; ho recuperato l'ultima violentemente, come quando si mangia una lasagna in tre minuti e ci vogliono sei ore a digerire.
Mi hanno spedito per lavoro davanti ai palazzi del centro affollati di stranieri -fai due scatti ai fashionisti pazzi e va bene così- hanno detto, almeno questo era il programma: dopo poche ore avevo la borsa piena di quattro etti di inviti per sei giorni, tre chili di macchina fotografica, uno di acqua gasata e una scorta di Compeed.
Tra Porta Venezia e Piazza Duomo, lungo tutta via Palestro, in metropolitana e sui tram, una folla omogenea di minuscoli e minacciosi buyer giapponesi, modelle minorenni che proiettavano ombre lunghissime, paparazzi appesantiti dal tele coi pass al collo e decine di pellegrini della moda agghindati per l'occasione, ogni giorno un outfit diverso e spesso scomodissimo.
Nell'aria una tensione perenne, un'eccitazione per non si sa bene cosa, i fashion bloggers isterici davanti agli ingressi affollati come i club con la door selection, tutti a scattare la stessa foto litigandosi il soggetto sempre bendisposto -posso farti una foto? e tac, posa- le pr fuori lista sotto la pioggia, i fotografi che urlano alla prima auto blu travolgendosi a vicenda, le celebs che corrono per finta al riparo dagli amici stilisti.
Sono entrata alla prima sfilata già spiegazzata da tre ore di scatti in strada, dopo qualche spintone e pochi metri mi sono accomodata al mio posto, nè troppo indietro nè troppo avanti, ed ho aspettato con pazienza mentre le luci si spegnevano e tutti predevano posto stretti e a schiena dritta sui pancali; poi il buio, e all'improvviso la musica fortissima mi ha svegliato dal torpore dell'attesa: una, due, tre... le modelle sono uscite come da un baccello dondolando sui tacchi altissimi e vestite di bolle di cotone bianco, ipnotizzata le seguivo col mento fino alla fine della passerella, tra le file centinaia di flash, le loro facce dritte contro il muro di fotografi come non ci fosse nessuno, la coreografia provata enne volte ma solo ora con tutto il circo intorno. Quattro, cinque, sei...i miei vicini con l'iPhone puntato, o sulle ginocchia per un tweet veloce, il ritmo che cambia, le gambe chilometriche che non perdono una battuta, nessuna cade, nessuno fiata, neanche il tempo di tossire che è già finita, potrebbe essere durato ore, invece sono quindici minuti, le ragazze escono tutte insieme e poi lo stilista per un applauso veloce.
Confesso l'inevitabile stupore da rookie, questo teatrino di stupefacenti marionette giganti fa il suo effetto e la scenografia, fiabesca o sfacciata che sia, costringe gli occhi incollati alla passerella, specie se si ha una macchina fotografica in mano, macchina che si dimentica in fretta se all'improvviso un rumore sordo arriva dal soffitto e bam! diecimila farfalle di carta esplodono morbide sulla folla mentre Win Butler urla dalle casse e venti incantevoli bionde sottopeso si abbracciano ridendo sotto questa nevicata improbabile.
Il fascino scema immediatamente allo spegnersi delle luci, un po' stordita mi rigetto nella calca che mi trascina fuori, in pochi minuti ci sarà un altro inizio, un'altra fila, altri dieci look da fotografare e due metro da cambiare; il male ai piedi comincia a pulsare, ma ho cinque scatti molto buoni e due briochine del buffet nello stomaco, vado avanti di corsa scartando i cappotti animalier e le facce sfocate.
Ora mi rimane la Madonnina sul tetto del Duomo, e la Torre degli asinelli a Bologna, ma visto che non mi sono mai laureata non porterà sfortuna, me lo posso permettere, e poi il mondo è grande, e io porto scarpe molto comode.

martedì 21 settembre 2010

Alejandro Chaskielberg- Heaven can wait







Alejandro Chaskielberg
e le sue visioni, reali e non.

sabato 18 settembre 2010

sabato 11 settembre 2010

september.

mercoledì 1 settembre 2010