venerdì 18 febbraio 2011

Tracey Emin & Louise Bourgeois: Do Not Abandon Me




La solidarietà femminile è come un ippogrifo: in pochi l'hanno vista e nessuno sa se esista o meno, ma rimane una creatura reale nell'immaginario di quasi tutti, e sopravvive su carta animandosi nei disegni di mille artisti diversi.
Forse pensavano a questo Tracey Emin e Louise Bourgeois quando hanno deciso di collaborare al progetto Do Not Abandon Me, in mostra alla galleria Hauser and Wirth di Londra dal 18 febbraio; forse la decana dell'arte contemporanea, scomparsa lo scorso maggio, ha chiesto all'ex ragazza ribelle di Margate di completare i sedici disegni che aveva prodotto poco prima di morire per questo, per sentire una voce diversa dalla sua, così diversa che il conflitto fra le loro anime artistiche avrebbe potuto autodistruggersi implodendo come una nana bianca, oppure unirle in una compenetrazione luminosa, omogenea ed esplosiva.

Guardando le opere attraverso lo schermo del computer è la seconda ipotesi a prevalere: i corpi femminili, le pance piene e gli organi sessuali tratteggiati dalla Bourgeois in un delicato sfarfallio di colori diventano oggetti e soggetti pesanti dopo l'intervento della Emin, che completa l'illustrazione con testi, tratti densi di matita e pennellate cariche che riportano le creature di Louise sul pianeta terra, gravandole di un peso fatto di paura, emozione e rabbia.
Se Bourgeois ha attraversato il novecento riempiendo lo spazio attorno a lei con sculture intense ma piene di spazio, quasi fredde e sviluppate in simmetria, con un senso preciso e mai sopra le righe, Emin ha costruito il proprio lavoro sull'incertezza, il caos e la paranoia, crogiolandosi nel proprio io disordinato.

Difficilmente si potrebbero osservare due artiste così diverse, ed è quindi stupefacente il risultato di questa collaborazione: un'intensa panoramica sulla fisicità e sull'universo emozionale di uomini e donne, tradotto in stampe su panno a metà fra delicatezza e delirio, piene di senso in poche righe tracciate su bianco a descrivere corpi e menti in piena ebollizione.
Un ultimo saluto per Louise e una svolta di linguaggio per Tracey, forse agli ippogrifi si puo' credere.

mercoledì 16 febbraio 2011

Rihanna & LaChapelle -I love the way you lie



Felicità è aprire il Guardian online una mattina qualsiasi e scoprire che due campioni di sobrietà come Dadivino LaChapelle e -guardatemisonoribelle- Rihanna se le stanno dando di santa ragione a colpi di libretti degli assegni a causa dell'altrettanto sobrio ultimo video di lei.
S&M è uscito il 31 Gennaio ed in pochi giorni ha totalizzato uno zilione di click, qualcosa come dodici milioni, mica bruscolini, è stato bannato in undici paesi e censurato dall'illuminata BBC... non voglio mettere le mani avanti ma un motivo potrebbe esserci, non ultimo l'uso spregiudicato di latex in concomitanza alla presenza imponente di coscione, boccoloni e cose infilate in bocca dalla bella barbadiana.

Ecco, fin qui potrebbe essere l'anonima storia dell'ovvio successo di un videoclip farcito di tette&culi, qualcosa che siamo abituati a subire nel bene e nel male ogni giorno aprendo un qualsiasi quotidiano nazionale, e invece no.. c'è di più, c'è un catfight disperato condotto su Twitter ("The next time you make a David LaChapelle music video you should probably hire David LaChapelle."), c'è il fotografo più geniale e tamarro dell'universo che stizzito e offeso fa roteare l'indice come una Beyoncè qualunque e poi denuncia la giovane urlatrice, la casa discografica e la casa di produzione del video per plagio. Lol.

In effetti, come dargli torto: questo pover'uomo ha passato anni a sudare come un mulo per far entrare celebrities giunoniche in tutine di lattice, costruendo set improbabili popolati da una quantità di animali esotici che in confronto l'arca di Noè sembra lo zoo di Falconara Marittima, inventandosi effetti speciali e photoshoppate che farebbero impallidire qualsiasi grafico di Cosmopolitan... E poi in cinque minuti arriva una sbarbata dalle Barbados che lo depreda del suo tipico trashume chic e se lo rivende con successo, facendo sparlare e incazzare mezzo mondo, provocando svenimenti a catena nella Bible Belt e terrificando l'associazione mamme cattoliche che si portano tutte la manina davanti alla bocca in un gesto di orrore mentre corrono alla messa di mezzogiorno a pregare per lei.

Cara Rihanna, ti sarai anche fatta tatuare Rebelle Fleur sul collo come uno spacciatore di Miami Vice (peraltro sbagliando l'ordine delle parole, che in francese sarebbe il contrario ma vabbè..), però ricordati che ci vuole rispetto per gli anziani, che non basta infilarsi un lecca lecca in bocca guardando in camera per superare a destra l'uomo che ha fotografato Mark Wahlber in una stanza ricoperta di tette, per dirne una. La strada da fare è lunga e lastricata di latex, cara mia, e se non vuoi che David cominci a tirare freccette sulla foto che ti ha scattato nel 2007 abbassa la cresta e fagli una telefonata riparatrice, sei ancora in tempo per salvare il tuo abbondante derrière barbadiano dall'assenza di Photoshop.

venerdì 4 febbraio 2011

# ► # Dancing Naked in the Mind Field





La memoria fotografica è una brutta bestia, un animale a sei zampe e tre occhi, che ansima e sbava come un bulldog ma più intelligente, e subdola, e utile. Ovviamente puzza meno di un cane ma occupa più spazio, e va portata fuori ogni mattina e ogni sera, altrimenti il divano -cioè l'ippocampo- verrà ricoperto da uno strato di maleodorante liquame di origine conosciuta.

Ricordare le cose col loro nome è un conto, ricordarle con la loro faccia è molto peggio, perchè se per le parole possiamo trovare un'alternativa o distorcerle, farle andare in un altro senso, con le immagini non c'è scampo, basta un frame a riportare indietro tutto l'ambaradan, un'esplosione silenziosa e inesorabile. Nel bene e nel male, ovvio.

Basta una strada presa per caso, quel bicchiere che si rompe, un manga uscito da una pila polverosa e boom, in pochi secondi -almeno nella mia testa, poi magari voi siete più moderni- una serie di polaroid fatte di niente esplode collocando quell'attimo proprio lì davanti, e non sono polaroid ancora umidiccie di sviluppo, troppo facile, sono belle asciutte, e nitide. Pronte da appendere, volendo utilissime per allenarsi a freccette, oppure a scopo decorativo certo, se solo durassero, ma purtroppo o per fortuna hanno vita breve, possono risorgere milioni di volte come fenici ma respirano solo per pochi istanti.

Con la memoria fotografica si possono fare tante cose: riconoscere persone dopo dieci anni creando lagune d'imbarazzo quando il riconoscimento non è reciproco, ordinare senza guardare al ristorante perchè si ricorda a memoria la scansione delle pagine del menù, telefonare ai propri amici da un telefono fisso senza aprire la rubrica del cellulare perchè i numeri galleggiano nell'ordine giusto nel nostro cervello, ritrovare una via se non si ha senso dell'orientamento basandosi solo sul ricordo dei fiori in un dato balcone o di un portone grigio o un nano da giardino particolarmente brutto.
Si puo'anche tornare in un posto dopo molto tempo, un posto che ha contato tutto o quasi niente, girare lo sguardo e sentire all'improvviso un rumore come di shanghai che cadono a terra, un ticticitic appena percettibile, e vedere all'improvviso i muri squagliarsi in una scena di qualche anno prima, di fianco a qualcuno che non vediamo da troppo, gli oggetti intorno spostati di un millimetro, porte degli armadi aperte e soffitti che si sono guardati all'infinito; è a quel punto che anche i rumori cominciano ad assomigliare a quelli che si sentivano allora, un'ondata di odori conosciuti fluttua dal passato, si allungano le braccia per toccare qualcosa, una cosa qualsiasi, così giusto per vedere se è vero, e poof.

Ecco, quello è il momento di fare un bel facepalm, un lungo respiro, recarsi al bar più vicino e ordinare una birra media, bionda, senza schiuma, sedersi al tavolino fuori e cominciare a sipparla tranquillamente, chi fuma puo' accendersi una sigaretta e soffiare piccole nubi pensierose, fissando un punto a caso nel panorama circostante.
In quel momento assolutamente privo d'importanza si creeranno altri ricordi visivi da sovrapporre, una cosa a metà fra i sette livelli della città di Troia e il millefoglie della domenica, decine di polaroid cominceranno a rincorrersi isteriche attraverso le sinapsi e il risultato sarà un lieve formicolamento delle mani, le guance rosse ed un inspiegabile entusiasmo.

Ecco no, non è niente di illegale, è solo memoria fotografica. Priva di senso e logica, indomabile, affidabile ed intrattenitiva. Questo il digitale mica lo fa.

mercoledì 29 dicembre 2010

2010- i'm not saying hello i'm waving goodbye





well. almost gone. welcome 2011

sabato 18 dicembre 2010

The year in photos- Music is my radar



Le foto ai concerti, enorme campo di battaglia pieno di morti e feriti, perchè se è facile fare una bella foto per caso è quasi impossibile scattarne due di seguito senza sapere perchè.
Qui la scelta di Pitchfork, sopra la mia preferita, una selezione che mi convince definitivamente a tenere l'iphone in tasca e tirarmi due passi indietro al prossimo concerto, e nel frattempo riempie un vuoto pieno di centinaia di inutili scatti da flickr, quelle immagini tutte rosa e blu e gente sfocata che armeggia selvaggiamente con gli strumenti. Ecco, non è sempre il blog del vicino di casa, c'è gente che lo sa fare davvero. Per fortuna.

giovedì 2 dicembre 2010

Make me dance i want to surrender- you're just a baby girl




Islington, March 19TH- 6 p.m.- 1999

Un pub qualsiasi,i tavoli collosi di birra e la tv appesa al muro sempre sintonizzata sul canale sportivo, i bagni sporchi e gli ubriachi gentili che ti lasciano il passo alla toilette.
Fra poche ore è il mio diciottesimo compleanno e continuo a chiedermi come sia possibile che mi credano quando mi presento al bancone, col broncio finto e la maglia a righe, ordino pinte grandi come la mia testa, metto un piede davanti all'altro ma la Newcastle confonde i contorni e inciampo nella moquette spessa quattro dita emettendo innumervoli "ooopsss": la maldestria non mi abbandonerà mai ma ancora non lo so, e spero passi presto.
Sono in vacanza di nascosto, voglio celebrare in un posto in cui abbia senso questo multiplo di nove senza balli in bianco, accompagnatori brufolosi o gonne a ruota, c'è da dire che mi sono impegnata così tanto da trovarmi davanti ad un piatto di pudding e baked beans talmente scarno da sembrare una presa in giro, carta da parati frattale e divani bruciati, in compenso la birra è abbondante, sgasata e pesantissima, ci sono il calcio in TV e le freccette libere, un paradiso precoce.
Sto ancora digerendo l'ultimo pezzo di toast mentre mi trascinano fuori, in un freddo marzolino davvero fastidioso, le case sono spaiate e grigie e decine di anziane signore vagano sui marciapiedi con le buste del Tesco, trascinandosi rumorose come barattoli dietro la macchina degli sposi.

Entriamo in casa di Sean scavalcando giocattoli, pianole, pacchi di bacon e mucchi di vinili. Guardo l'orologio e penso che fra tre ore potro' tirare fuori la mia ID e bere cose nell'ordine che preferisco, e l'hangover sarà finalmente solo colpa mia. Beh qui, perchè nel mio paese potevo già farlo e almeno potevo dare la colpa allo stato. Primo cedimento ideologico di una lunga serie.

Secondo pub, primi e ultimi diciotto anni della mia vita: quattro Newcastle, due porzioni di patatine con candelina, tre canzoni dei Jam ballate nel modo più scoordinato possibile e un taxi verso l'hotel con la carta da parati più sorprendente che io possa ricordare -prima in classifica solo casa mia, coi rombi blu e verdi, e dei cerchi concentrici in tinello che solo Kleee- la BBC romantica che fa da sottofondo, gli auguri internazionali dei fratelli preoccupati, le urla dal piano di sopra che ci svegliano con una lattina in mano e la bolla al naso, l'alba del ventun marzo brumosa e l'apoteosi del cerchio alla testa, last but not least due etti di bacon assorbente servito al tavolo del pub più sporco d'Albione. Really.

Volo di ritorno speso ad abbracciare sedile, anziano accompagnatore e tappetino assorbi-birra feticcio del suddetto zozzissimo pub, tentando di ricostruire versioni educatamente plausibili per la famiglia,il cervello cotto a puntino in un pentolone di brasato sentimental-rocknroll parzialmente inesploso, le endorfine catturate come farfalle nel retino.

Atterrata a Roma non ho sentito scosse, se non la mancanza di offerte di latte nel tea, royal gadgets, doppio malto senza rimorsi e tartan libero.
Doveva essere uno di quei terremoti a lungo termine.
DNA, doesn't fake.

lunedì 8 novembre 2010