lunedì 12 gennaio 2009

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la carta da parati, a casa mia, è sempre andata in coppia con la moquette; non sono cresciuta a bath ma nella mente dei miei genitori evidentemente ricoprire pavimenti e pareti di morbide texture dal sapore demoniaco-enigmistico significava raggiungere il top della sciccheria, una dimostrazione di innegabile benessere: bei tempi quando ancora la moquette definiva uno status sociale.
Sarà anche colpa loro, ma a partire dal 1983 i muri nudi e i pavimenti scoperti mi fanno tristezza, uno psicanalista tirocinante potrebbe portarmi in un negozio di paramenti, allontanarsi di qualche passo taccuino munito, e cominciare a prendere appunti tranquillo mentre il mio senso estetico -davanti ad un bel rotolo di carta da parati- oscilla, barcolla e infine si arrende al cattivo gusto, l'unica vera dote dei rivestimenti per pareti. almeno cosi pensavo fino a stamattina. Poi è arrivata Tracy Kendall, e con lei la mia redenzione, forse.

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