mercoledì 18 novembre 2009

The Kingdom- Niguarda riget





E' quasi un mese che soffro di vertigini soggettive, come le chiama il mio medico, inutile dire che gli ho già domandato se per caso significa un imminente ingresso nel grande circo della malattia mentale ma no, non sembra sia previsto per l'imminente futuro; comunque sia le mie frequentazioni al Niguarda, sulle quali avevo già abbondantemente delirato in passato, si moltiplicano nel giro di una decina di giorni, ma l'esperienza più significativa se l' aggiudica il pronto soccorso,
che non è più appena entrati a sinistra ma in fondo a un vialetto buio come la foresta di Nottingham alle tre di notte e completamente ghiacciato, illuminato poco e male da faretti al tungsteno, proprio una bella introduzione visiva. Al bancone trovo un giovane infermiere carino che sorride a tutti mentre il cordless di reparto gli squilla incessantemente nella tasca del camice: allunga un bavaglione alle sciure novantenni che vomitano, sgrida gli anziani troppo insistenti che urlano di avere "le palle gonfissime" e consiglia ad una ragazza bulgara un centro di medicazione gratuito e poco attento ai permessi di soggiorno dove portare il suo bambino con quaranta di febbre, a un certo punto infila il suo borsello da uomo anni settanta e se ne va. In fila con me, sulle sedie verdi a guardare le venature azzurre del linoleum ospedaliero, ci sono molte persone, tra cui una giovane milanese in tuta che si misura la febbre con il termometro elettronico ogli tre per due e intanto telefona alla mamma, due fratelli tunisini con mascherina che mi raccontano di come nel cantiere per cui lavorano un loro amico sia finito all'ospedale con una botta in testa di sedici chili di carico perchè era senza casco protettivo..e di come questa tosse che li scuote tanto da farli cadere dalla sedia sia niente in confronto, "lui non si muoveva più, noi abbiamo solo l'influenza", dice uno dei due mentre accarezza la schiena del fratello per tranquillizzarlo, ci salutiamo con un in bocca al lupo, è il mio turno.
In fondo a destra c'è una stanza enorme, divisa da tendaggi verdi che creano piccoli separè nell'obbligata atmosfera zero privacy da reparto emergenze; mi accomodo sul lettino mentre intorno a me una ragazza ansima con un attacco di panico da manuale, alla mia sinistra un settantenne che urla com un pazzo mentre lo intubano, a destra una donna che ha appena avuto un aborto spontaneo, ormai lo sappiamo tutti fra le tende verdi.
L'infermiera si lamenta del suo turno da 18 ore, "signorina sono uscita di qui alle 4, poi ho dormito fino alle sei e dalle otto sono di nuovo in servizio, non c'ho più l'età", in effetti l'attività è frenetica, ma nessuno manifesta comportamenti stressati e offensivi, sembrano pazienti e abituati, abituati a vedere di peggio, spesso.
La TAC è cosa di pochi minuti, anche se ogni volta che ne faccio una mi ritrovo sul set di una pellicola futuribile, discuto un attimo col tecnico sull'eventualità di un suo cambio tricologico: "se mi ossigeno magari mi notano, come fai a farli così?"
Tiro fuori il giornale e mi siedo nella hall, dove continuano ad arrivare personaggi mascherati con sospetta suina, vecchini fratturati e familiari preoccupati.
Verso mezzanotte mi rilasciano i referti e faccio in tempo a fumare una sigaretta riflessiva mentre aspetto il taxi, e penso che questa giornata assomigli molto a quelle che ho vissuto diversi anni fa: le persone si assembrano agitate sui sedili del pronto soccorso, i medici e gli infermieri si sbattono come polipi per accertare e curare, alcuni non ti guardano neanche, ma dopo un turno doppio da 12 ore vorrei vedere voi, i corridoi sanno sempre di purè e disinfettante, con quella nota di etere che non guasta mai, e non c'è davvero modo di mediare il panico di chi sta veramente male, o pensa di solo di morire, è come una corda molto tesa che vibra nell'aria e non c'è verso di fermarla, e mentre tutto intorno sembra pulito ma vecchio, sterile e fiducioso, mentre la gente urla per un foruncolo testicolare o per la metastasi, tutto è uguale, il formicaio non si ferma mai.
Quelli che si muovono siamo noi, pur sbattuti da un bancone all'altro, con o senza patologie gravi, sfrecciamo nei corridoi fra gli anziani col bastone e i ventenni disperati, gli orzaioli le insufficienze renali il giradito le vertigini le poltrone rotanti e i bavagli per il vomito, siamo sempre noi, avanti e indietro lungo la linea del tempo e dell'età, insicuri di questa dimensione fisica e corporea, come di mille altre cose, noi che per fortuna possiamo preoccuparci gratis, o quasi.

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