mercoledì 13 febbraio 2008

picture eureka: un mesto misterioso mestiere?


la vita sociale meneghina prevede -com'è ovvio- diversi compromessi da stringere con la quantità di pazienza di cui si è dotati: se la fatina delle virtù è stata particolarmente generosa con voi non avrete problemi, in caso contrario, se cioè siete degli insopportabili sbuffatori come me, arrotolatevi le maniche e prendete un lungo respiro; i tre-quattro minuti che precedono una qualsiasi conoscenza sono i peggiori, le domande che vi verrano fatte saranno precise, secche e fittissime e saranno mirate a capire se siete meritevoli di interesse o meno: se potrete farli entrare ad un concerto o una mostra gratis, se siete un buon partito, se lavorate in zona sempione e quindi vi siete reincarnati per l'ultima volta, queste cose qua.
a parte gli scherzi ultimamente sto avendo dei problemi in questa fase della conversazione, mentre un anno fa bastava dire "abito in isola" e l'interlocutore (se non appartenente alla fascia di reddito "golden path") sbiancava di ammirazione e si produceva in sommessi "uhh" di approvazione, ora se ha la disgraziata idea di chiedere prima "che lavoro fai" sprofondo in una botola di sconforto; ho preparato diverse risposte jolly da lanciare come stellette ninja verso la ghiandola pineale dell'interlocutore sperando di smarrirlo con una fregnaccia stratosferica delle mie, ma non sempre funziona:

-lavoro per una casa editrice il cui nome pronunciato tre volte evoca il dio pan, però con la faccia di berlusconi
-passo le giornate a fissare uno schermo pieno di cosce
- cerco di rispettare il patto anti anoressia della melandri ma non è facile, è una dannata guerra

non biasimatemi. a voi piacerebbe rispondere "ricercatore iconografico?" dando l'idea di essere un pazzo che tutti i weekend si infila un caschetto e scorrazza gattonando per cunicoli bui a cercare pitture rupestri, oppure "photo editor" costringendo il famoso interlocutore a fare altre quattro domande - che vi spazientiranno ulteriormente- per capire cosa diavolo fate davvero, otto ore al giorno.
un'illuminante intervista della grande Giovanna Calvenzi spiega perfettamente cosa voglia dire occuparsi della parte iconografica di una rivista, all'estero..perchè in italia tutto sembra molto più confuso e instabile, chissà come mai: il photo editor è -idealmente- quel personaggio che a braccetto ( o più probabilmente per terra accapigliandosi come pazzi ) con l'art director decide la linea linea visiva di un giornale, cerca e sceglie le immagini, le cerca e le sceglie- secondo mio modesto parere- pensando a tante cose: prima all'immagine come la vorrebbe, non facendosi mandare centocinquanta foto dall'agenzia per poi sceglierne una a caso, se ti occupi di questo la tua testa deve piena di immagini e per rispettare un certo progetto visivo dovrai trovare qualcosa di adatto, qualcosa che praticamente ti inventerai, non che troverai grazie al tuo schiavo ricercatore che passerà 5 ore incollato allo schermo guardando scorrere migliaia di immagini dopo avergli scritto su un foglio "coppia-impotenza-pagina piena".
invece sembra che da noi vada proprio così, che in alcune riviste le foto non vengano considerate, scelte dal direttore senza appello, trovate dagli stagisti, nel migliore dei casi un photoeditor c'è ed è anche un fotografo, cosa che aiuta davvero molto; tanta gente è convinta che questo mestiere potrebbe farlo anche una scimmia, talmente tanta che i tre quarti ci lavorano pure, nell'editoria, senza chiedersi ogni mattina con che diritto a un giornalista sia consentito parlare e trattare di fotografia senza una preparazione adeguata; dei professionisti ci sono, stanno nascendo scuole per formarli. in altri paesi se cerchi "photoeditor" nello spazio jobs delle case editrici non trovi nulla perchè il termine esatto è picture editor, ovvero la persona che si occupa di tutte le immagini e le illustrazioni, che ha ben presente com'è fatta una foto ben scattata e dove deve essere messa esattamente perchè sia leggibile al cento per cento, che collabora con altre persone preparate per creare qualcosa che ha due modi di essere letta: con le parole e con le immagini.

dopo questa liberatoria piazzata al prossimo che chiederà "che lavoro fai", mettendo da parte il mio ignobile sarcasmo, risponderò "guardo le figure, però sono dei pesci" stringendo in tasca un bel biglietto aereo preferibilmente non ryanair, con le pezze al culo abbiamo già dato.

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